Oggi il cuore è “solo” un po’ più stanco

 

Non aveva importanza chi fosse: mi bastava dirti “Nonna, ma gliel’hai raccontato che tu c’eri, a Torino, quando sono nato io?”

E tu entusiasta e soddisfatta iniziavi il racconto, quasi non vedevi l’ora che ti venisse chiesto.

«C’ero, c’ero. Eccome se c’ero!

Mi sono fatta portare a Torino perché io dovevo venire a vedere come si fosse sistemata mia figlia!

Quella mattina, tuo padre si era messo in testa di portarci sopra una montagna a vedere la chiesetta di Rivoli quanto fosse bella e, mentre salivamo per quella strada, la macchina si è improvvisamente bloccata e non ne voleva sapere di sistemarsi.

Shuuuuuu!! Mi sono messa a gridare con tuo padre che non ce n’era per nessuno! Tua mamma era “incinta grossa” e poteva partorire su quella strada!

“VEDI COME DEVI FARE, TU ORA CI PORTI IN OSPEDALE, SUBITO! CHE TUA MOGLIE DEVE PARTORIRE E ‘STO FIGLIO CE LO FA QUI!” Ma niente, lui provava ma non riusciva.

Poi un passante si ferma in soccorso e a quella chiesetta non ci siamo più andati: di corsa all’ospedale più vicino, ormai quello di Rivoli, e poco dopo sei nato tu!».

Ora che stavi a casa di mamma ci eravamo ripromessi di fare un video di te che racconti della mia rocambolesca nascita.

Per non parlare dello “scambio di figli” al momento della prima poppata: per una svista sul braccialetto identificativo col nome, la puericultrice portò a mia madre un altro bambino.

È bastato solo che ne vedesse il viso, perché mamma si accorgesse che quello non era il figlio che aveva appena partorito, così si fece riportare me.

E ridevi quando io ti interrompevo dicendo che «avrebbe dovuto stare zitta. A quel punto un figlio valeva l’altro, no? Che chissà se, lasciandomi lì, sarei finito nel parentato di Agnelli o di qualche riccone e magari mi sarei sistemato diversamente. Ma lei no, lei doveva per forza riprendersi me! E che cavolo!»

Eh però, nonna, abbiamo rimandato troppo per questo video, non rendendoci conto che il tempo a nostra disposizione non sarebbe stato poi così tanto, perché quando stai con le persone che ami, non importa l’età, non importa la malattia, il tempo è ingannevole e ti sembra eterno. E ti illudi che non finirà mai.

Ed è così che i tuoi racconti sono volati via con te, ma custoditi nel cuore mio e comunque ancora vividi nella memoria di mamma e papà

È stato un onore averti avuta come nonna.

Ora stringiti forte ai tuoi amati figli, zio Romolo e zio Gino, che ti hanno preceduta troppo presto e al tuo adorato “Santino”, nonno Francesco, che tanto hai invocato nei momenti di sofferenza per la tua malattia.

Voglio pensare che, vedendoti arrivare per come ti hanno vestita oggi, con la tua giacchetta, la gonna fin sotto il ginocchio e la scarpetta col tacco, per non dire l’accenno di sorriso sereno che avevi stampato in faccia, nonno impazzirà di un nuovo amore e ti chiederà di risposarlo lassù, ora che la morte vi ha ricongiunti.

Io stesso ero ormai così abituato a vederti impigiamata e allettata, che ritrovarti così bella e abbigliata mi ha riportato a quelle domeniche in cui ci si vestiva a festa, «perché la domenica è del Signore, la domenica è giorno di festa e bisogna vestirsi eleganti», diceva nonno, e sia tu che lui eravate sempre impeccabili in questo! Nonno Francesco (Santino) ci teneva tantissimo e adorava quando la domenica mi vedeva arrivare in giacca e cravatta (perché poi si andava in chiesa).

E d’altronde, quando rientrata dalla lunga degenza ospedaliera ti ho detto che ti trovavo dimagrita assai, la tua risposta è stata «Sono tornata come quando ero signorina!»

Di oggi mi rimane la sosta sotto casa tua prima del “fine della corsa” al cimitero: in quei pochi minuti, tutta la mia infanzia mi è scorsa davanti come fosse il susseguirsi delle scene di un film. Per qualche meraviglioso, interminabile istante ti rivedevo lì, in quella casa, ad adoperarti in cucina, mentre nonno prendeva la sua tastierina per farmi suonare insieme a lui ed insegnarmi i primi accordi basilari. Rivedevo me, i miei fratellini e i miei cuginetti ancora bambini e non ancora consapevoli di quanto la vita potesse rivelarsi dura, scorrazzare per quella stradina, giocando e divertendoci nel pieno della spensieratezza e come non ci fosse mai un domani.

Scene, queste tra altre, che continueranno a ripetersi in un loop che le vedrà reali e tangibili fino alla fine del mio tempo.

E mi piace pensare che, percorrendo quella strada lungo il fiume nel più totale silenzio, se ci si concentra, sarà possibile sentire la musica di nonno che si alterna tra la sua chitarra, i suoi mandolini e la sua tastiera, te che racconti delle tue corse e peripezie di vita, mentre l’aroma del tuo buon caffè, che non mancava mai, accarezza l’olfatto.

Ma ciò che mai dimenticherò, oggi, è il momento in cui l’addetto alla cremazione ha lasciato scivolare la bara con dentro il tuo corpo esanime in quella fornace ardente, per poi restituirci i tuoi resti in un’urna ancora calda ma priva di anima, perché l’anima tua, che è la tua essenza, nessun’urna potrà mai contenerla, ma bensì continuerà a pulsare viva nei cuori di chi ti ha tanto amata e ti ama per sempre.

Mancherà venire a bussare alla tua porta.

Vola in alto, grande Guerriera.

R.I.P. Nonna

*Oggi il cuore è “solo” un po’ più stanco*

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